IL PROGETTO

Assieme all’associazione LOAD (Local Actions for Development) composta dai progettisti Lorenzo Conti, Sara Bettoli e Mattia Lucchetti ho partecipato al progetto di autocostruzione di una Casa per le Arti nel villaggio di Abetenim in Ghana.

Il villaggio conta 500 persone ed è situato a circa 40Km da Kumasi, seconda città più grande del Ghana, ma le strade sterrate che separano i villaggi non ne rendono agevole il raggiungimento, specialmente durante la stagione delle piogge.

Gli edifici in terra presenti rappresentano tuttora un patrimonio dell’architettura vernacolare molto interessante, da valorizzare tecnicamente e socialmente, anche per il fatto che il progresso degli ultimi decenni sta portando ad un progressivo abbandono delle tecniche costruttive in terra per prediligere costruzioni in cemento.

Il progetto EartHouse mira ad accrescere l’uso di materiali naturali e recuperare tecniche costruttive locali, ampiamente accessibili dagli abitanti, così da stabilire una forte connessione con il contesto e le condizioni abitative locali, ponendosi come una piattaforma per la condivisone di saperi.

La distribuzione interna si compone di due spazi di lavoro e tre stanze collocate attorno ad un patio, riprendendo la tradizionale tipologia della casa a patio.
La copertura prevede un sistema di raccolta delle acque piovane oltre ad un sistema di ventilazione naturale e spesse pareti, seguendo così i principi della sostenibilità e della bioclimatica in climi tropicali.

La realizzazione delle casseforme in metallo riutilizzabili è stata opera di Kwame, il saldatore locale, ed è iniziata in contemporanea con le lavorazioni sulle fondazioni, realizzate pietra granitica proveniente da una vicina cava e malta cementizia.

Per le pareti si è ritenuto opportuno utilizzare la tecnica pisé perché vista, a livello locale, come un ammodernamento delle costruzioni in terra e quindi un possibile valido sostituto dei sempre più diffusi blocchi in cemento.

Le fasi di realizzazione delle pareti hanno previsto: il reperimento della terra di costruzione a pochi metri dal cantiere, la produzione della miscela composta da terra (82%), sabbia (10%), cemento (8%) e la compattazione in strati successivi all’intento delle casseforme.

La struttura di copertura è stata realizzata con legname locale e dovendo rispondere a condizioni climatiche tropicali presenta una marcata pendenza, timpani aperti e alti colmi per favorire la circolazione dell’aria e un’orientamento che incanala i venti dominanti, e prevede anche recupero dell’acqua piovana.

Sotto la copertura in lamiera, in corrispondenza degli appoggi, sono state posizionate delle fasce in gomma con funzione fonoassorbente.
Inoltre per limitare il soleggiamento diretto degli ambienti, le aperture principali sono state schermate con canne selvatiche locali chiamate babadua, raccolte nella foresta vicina al villaggio. 


L’obiettivo era quello di elaborare soluzioni economiche e riproducibili da chiunque a prescindere dal proprio status sociale, così da migliorare le condizioni abitative grazie all’utilizzo di materie prime naturali facilmente reperibili e a Km zero, combinati a soluzioni innovative.

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